Penel 2017 cycling jersey

Beh, ci voleva. Dopo qualche anno abbiamo ridisegnato la maglia per lOsteria Penel di Lugano, dove la passione per la bicicletta è pari a quella per il buon vino e il buon cibo. E questa volta la maglia trasuda “swissness” da ogni fibra. La nuova maglia è dedicata all’indimenticato “pédaleur de charme“, il campione zurighese Hugo Koblet, il cui proverbiale pettine spunta da una delle tasche posteriori, e al Ticino, meravigliosa regione che oltre ad essere un paradiso per chi pedala ed è capace di regalare ottime soddisfazioni anche agli amanti il vino. Se poi vi piacciono tutte e due le cose, beh, non potrete fare a meno di farci un salto. Anche questa volta ringraziamo biciclista.it per la collaborazione.

www.osteriapenel.ch

graphic design: ciclisucarta.it
produzione: biciclista.it

A tribute to Dario Pegoretti

dariopegoretti ciclisucartaDario Pegoretti è da anni uno degli artigiani telaisti piu’ apprezzati nel mondo. Costruisce biciclette pensate per andare veloce ma che non mancano di stupire per la loro bellezza e originalità, che hanno vinto corse professionistiche importanti ma anche premi di design e si sono guadagnate le vetrine dei musei. La settimana scorsa Dario è passato da Milano per una chiacchierata sull’arte di costruire le biciclette che si è tenuta nei locali di Upcycle Café. Nonostante sia passato molto tempo, abbiamo rivisto l’uomo genuino e appassionato del suo lavoro che avevamo conosciuto in una visita alla sua officina ormai quasi dieci anni fa. Con l’occasione riproponiamo qui il testo a suo tempo dedicatogli e apparso sulla vecchia versione di ciclisucarta.it, accompagnato da un nuovo lavoro grafico.

Souvenir da Caldonazzo

25.4/28.6/28.6. Sono i diametri dei tubi: orizzontale, piantone, obliquo. Le misure classiche. Il 90/60/90 delle biciclette. Tubi magri e tondi di acciaio tagliati, sgolati, infilati nelle congiunzioni e saldati. O meglio, brasati. Già perché all’inizio, prima dell’avvento del cannello, per saldarli li cuocevano davvero sulle braci. Preistoria, direte voi. Preistoria o no, negli anni ’70 e ’80 le bici le facevano così. E venivano piuttosto bene. Dalle parti di Varese c’era una ditta che produceva le migliori congiunzioni in lamiera stampata e tra Lombardia e Veneto c’erano un sacco di laboratori in cui abili artigiani erano indaffarati a costruire telai a ritmi serrati. E non pensate ai soliti nomi. La maggior parte dei telaisti costruiva infatti soprattutto per altri, per i più grossi, in conto terzi. Lavoravano nell’ombra, erano il serbatoio cui attingevano le case che già godevano di maggior fortuna, che erano riuscite a imporre il proprio marchio grazie alle sponsorizzazioni o a qualche azzeccata idea imprenditoriale che non si chiamava ancora marketing. Era la scuola telaistica italiana. O, se preferite, erano i taiwanesi di una volta. Comunque, a imparare da noi arrivavano fino dagli Stati Uniti e dal Giappone. C’era grande passione, creatività, quella vera, e la qualità era molto elevata. Molti erano in gamba, qualcuno magari si arrangiava, qualcuno era addirittura brillante, ma non sempre ebbe il maggior successo commerciale.

Dario Pegoretti fa il telaista da quasi trentacinque anni. E’ stato allievo di Luigino Milani, uno dei migliori. Attivo a Verona sino agli inizi del ’90, gran talento nell’organizzare il lavoro, nell’inventarsi sistemi ed utensili per renderlo più snello e veloce, tanto che con quindici dipendenti riusciva a sfornare duecento telai al mese. Poco conosciuto al grande pubblico, anche lui lavorava molto come terzista, e per i marchi migliori. Quando la Milani Cicli chiude Dario Pegoretti si mette in proprio. Prima a Illasi, poi a Levico Terme e da qualche anno a Caldonazzo. Gli inizi non sono facili, ma Dario ha capacità, esperienza, e passione da vendere. E’ uno dei primi a sperimentare con la saldatura a TIG, quando ancora nessuno sa nemmeno da che parte cominciare. Collabora con le aziende più importanti e getta le basi di quella fama che lo porterà in breve a costruire i telai destinati ai corridori professionisti. La sua mano diventa richiesta. A quei tempi sono in pochi a saperlo ma molti dei migliori corridori degli anni ’90 corrono e vincono con i suoi telai. Nel ’97 inizia a firmare i telai con il suo nome e oggi è uno dei pochissimi telaisti rimasti in Italia. Costruisce telai da strada e da pista eccezionali. Il paradosso è che li vende quasi esclusivamente all’estero. Già, perché noi italiani siamo un po’ strani. Anzi, parecchio. Pensate che una volta un cliente gli ha ordinato un telaio e gli ha chiesto se poteva firmarlo con il nome di un altro costruttore…

Sulla copertina di un catalogo di qualche anno fa, Dario citava Mies van der Rohe: “La forma non è il fine ma il risultato del nostro lavoro”. Si è dato poche, semplici regole: ottenere il miglior prodotto possibile in termini di prestazioni e di affidabilità. Lo sguardo è sempre rivolto alle competizioni. E la forma ha sempre una radice tecnica. Come se fosse l’unica possibile. Come nel caso della scelta dei tubi rotondi, il miglior compromesso tra rigidità laterale e resistenza alla torsione. Il designer Enzo Mari ha scritto: “Una forma per me è buona quando è…quando ai più sembra troppo povera…Dunque quando non sembra, e per non «sembrare» deve corrispondere alla sostanza delle cose.” Chissà, forse Mari e Pegoretti andrebbero d’accordo. Oggi a Caldonazzo lavorano in tre. Dario, Pietro e Zoran. Un telaio Pegoretti è un prodotto autenticamente artigianale. Forse uno dei pochi rimasti. Tutto il processo è eseguito manualmente con la massima cura: dal taglio dei tubi alla verniciatura. Dario poi va anche oltre: studia le grafiche, si disegna da solo i cataloghi…

Assistere alla costruzione di un telaio nell’officina di Dario è un’esperienza affascinante. Una di quelle che mentre la vivi ti senti felice anche perché pensavi che ormai non ci fosse più in giro niente del genere. E’ un modello saldamente acquisito, ripetuto e tramandato nel tempo che ti si dispiega davanti attraverso gesti precisi che l’esperienza ha reso semplici e naturali. Dario è uomo concreto e come tale è incline a smitizzare, a riportare le cose alla loro giusta dimensione. Non si stanca di ripeterti che la bici è un oggetto semplice, “e’ una bici, mica un aeroplano”, e che costruire un telaio “è un lavoro che si fa a occhio”. Semplici sono inevitabilmente anche gli strumenti che usa per costruirla, che lui chiama familiarmente “tòchi de fèro”, ma che in realtà sono utensili bellissimi, quasi tutti autocostruiti, che ti colpiscono per la loro essenzialità e intelligenza. Non so quanti telai ci siano in giro in cui la scatola del movimento è stata saldata sulle note dei Pink Floyd, i forcellini posteriori su quelle di John Coltrane e il nodo sella con il Bolero di Ravel come sottofondo. A Caldonazzo succede spesso. Anzi, se vi venisse da chiedervi come mai la musica si sente così bene in officina è perché Dario ci tiene particolarmente e per non sbagliare si costruisce da solo casse ed amplificatore…

C’était des grimpeurs

Equipe Born to Climb

Bella pagina del sito de l’Equipe Explore dedicata ai piu’ grandi scalatori della storia del ciclismo, con testo di Philippe Brunel disponibile in francese o in inglese e arricchita da foto, illustrazioni e video. Le illustrazioni sono di Hugues Micol.

 

Roger

rdv

Le corse finiscono sulla riga bianca
Roger De Vlaeminck

Una figura armoniosamente seduta in bicicletta. Il dorso orizzontale, parallelo all’asfalto, le braccia a squadra, con le mani sulle leve dei freni, il busto fasciato da una maglia blu con la scritta Brooklyn e larghe strisce verticali bianche e rosse. Il telaio è di un blu brillante su cui risaltano le scritte GIOS Torino in bianco. Il manubrio ha una curvatura accentuata che ricorda quelli da pista. Le leve dei freni sono montate un po’ piu’ in basso del solito e spuntano ben sotto la linea dei corni bassi. Il corridore è senza caschetto, in fuga da solo, nel pieno dello sforzo, proteso nella ricerca della velocità. Il vento guizza nella massa dei capelli scuri e sfiora le lunghe basette. Siamo negli anni ’70, nel finale di una edizione della Paris-Roubaix, la tormentata classica primaverile del pavé.

Questa immagine è diventata un’icona della storia del ciclismo e un simbolo del ciclismo degli anni ’70. Si tratta di Roger De Vlaeminck, belga, classe ’47, meglio conosciuto come le Gitan, lo zingaro, dal fatto che i genitori per lavoro giravano le fiere, oppure come Monsieur Roubaix. Già perché di Parigi-Roubaix nella sua carriera – dal 1969 al 1984 – ne ha corse quattordici, vincendone quattro, arrivando quattro volte secondo, una volta terzo e, tranne un ritiro, mai oltre il settimo posto. Un vero e proprio record.

E forse ne avrebbe potute vincere anche di piu’. Ma nel 1978 firmo’ un contratto con la Sanson e si trovo’ in squadra con Francesco Moser, il quale vinse la corsa nel ’78, ’79 e ’80. Per due volte Moser scatto’ prima di De Vlaeminck, che ovviamente non poteva inseguirlo, ed entrambe le volte il belga si piazzo’ al secondo posto.

La leggenda vuole che De Vlaeminck abbia forato solo tre volte nelle sue quattordici Roubaix, la prima volta nel 1979, all’undicesimo tentativo, quando invece molti corridori forano di piu’ nell’arco di una sola edizione. Fortuna? Abilità nell’evitare le insidie della strada? Di certo De Vlaeminck era un acrobata, a suo agio ovunque su una bici, dalle pietre della Roubaix ai sentieri fangosi del ciclocross, la specialità che lo aveva avvicinato al ciclismo e che insieme al fratello maggiore trasformo’ negli anni ’70 in una faccenda di famiglia.

Fu proprio per emulare il fratello Erik che il ragazzino Roger abbandono’ il calcio per la bicicletta. Nel 1968 i fratelli De Vlaeminck si presentarono entrambi ai mondiali di ciclocross in Lussemburgo. Erik vinse il titolo nei professionisti e Roger quello dei dilettanti. Erik era un vero e proprio specialista. Raccolse poca fortuna su strada, ma nel ciclocross fu campione del Mondo per sette volte tra il 1966 e il 1973. L’unico anno in cui manco’ il successo fu il 1967 perché danneggio’ la bici in corsa. Fu anche per quattro volte campione nazionale belga (1967, ’69, ’71 e ’72).

Sul fango anche Roger riusci’ a vincere nel 1975 un Campionato del Mondo, risultato che su strada invece sfioro’ soltanto, piazzandosi nello stesso anno secondo dietro all’olandese Kuiper. Fu poi tre volte campione nazionale belga su strada (1969 e ’81) e tre volte nel ciclocross (1974, ’75 e ’78). Per un periodo Roger ed Erik corsero insieme nella Brooklyn Chewing Gum, la squadra allestita da Giorgio Perfetti (patron) e Franco Cribiori (direttore sportivo) in cui Roger milito’ tra 1973 e il 1977.

Nella stessa squadra correva anche il piu’ grande interprete delle Sei Giorni, Patrick Sercu. E a ulteriore testimonianza della sua versatilità in bicicletta, De Vlaeminck si cimento’ anche in pista e proprio in coppia con Sercu vinse la Sei Giorni di Gand nel 1971, e si laureo’ campione belga dell’Americana nel 1972.

De Vlaeminck è uno dei soli tre ciclisti, insieme a Rik Van Looy e Eddy Merckx, ad avere vinto tutte e cinque le classiche monumento. Oltre alla Parigi-Roubaix, ha infatti vinto la Liegi-Bastogne-Liegi nel 1970, la Freccia Vallone nel 1971, la Milano-Sanremo nel 1973, 1978, e 1979, il Giro di Lombardia nel 1974 e 1976, e il Giro delle Fiandre nel 1977. Al Giro delle Fiandre del 1977 succhio’ la ruota di Maertens per gli ultimi cento chilometri per poi passarlo a duecento metri dall’arrivo. Maertens fu poi squalificato per doping e cambio non consentito della bicicletta, cosi’ come Planckaert, giunto terzo (doping). Al Lombardia del ’74 e alla Roubaix del ’75 invece De Vlaeminck si tolse la soddisfazione di battere un Eddy Merckx in maglia di campione del mondo.

Nonostante fosse chiaramente un corridore da classiche, De Vlaeminck vinse una tappa alla Vuelta Espana e una al Tour De France, ventidue tappe al Giro d’Italia, dove conquisto’ anche la classifica a punti al nel 1972, ’74 e ’75, sei tappe e la classifica generale al Giro di Svizzera del 1975, e per sei volte consecutive a partire dal 1972 la classifica generale alla Tirreno-Adriatico. Al suo ritiro, nel 1984, aveva vinto 257 corse. Torno’ al primo amore, il ciclocross, come allenatore. Negli ultimi anni per il team belga John Saey-Deschacht e come consulente per la nazionale dello Zimbabwe per la preparazione ai mondiali del 2005 in Germania.

Oggi Roger De Vlaeminck compie 66 anni. Auguri, Monsieur Roubaix!

How much pain can you suffer?

sean kelly tour

Back in the late eighties teams had begun testing their riders and analysing the figures. Sean Kelly was at the height of his career and winning more of the biggest races than any of his contemporaries. He was the greatest cyclist in the World at the time and during one test session the coaches were perplexed. They asked how he could be winning so much when his figures did not correspond to such results. Kelly sat back and said that machine measures power, heart rate, Vo2 max and all that, but what it doesn’t measure is how much pain you can suffer. da worldwidecyclesblog via flandriacafé.