A tribute to Dario Pegoretti

dariopegoretti ciclisucartaDario Pegoretti è da anni uno degli artigiani telaisti piu’ apprezzati nel mondo. Costruisce biciclette pensate per andare veloce ma che non mancano di stupire per la loro bellezza e originalità, che hanno vinto corse professionistiche importanti ma anche premi di design e si sono guadagnate le vetrine dei musei. La settimana scorsa Dario è passato da Milano per una chiacchierata sull’arte di costruire le biciclette che si è tenuta nei locali di Upcycle Café. Nonostante sia passato molto tempo, abbiamo rivisto l’uomo genuino e appassionato del suo lavoro che avevamo conosciuto in una visita alla sua officina ormai quasi dieci anni fa. Con l’occasione riproponiamo qui il testo a suo tempo dedicatogli e apparso sulla vecchia versione di ciclisucarta.it, accompagnato da un nuovo lavoro grafico.

Souvenir da Caldonazzo

25.4/28.6/28.6. Sono i diametri dei tubi: orizzontale, piantone, obliquo. Le misure classiche. Il 90/60/90 delle biciclette. Tubi magri e tondi di acciaio tagliati, sgolati, infilati nelle congiunzioni e saldati. O meglio, brasati. Già perché all’inizio, prima dell’avvento del cannello, per saldarli li cuocevano davvero sulle braci. Preistoria, direte voi. Preistoria o no, negli anni ’70 e ’80 le bici le facevano così. E venivano piuttosto bene. Dalle parti di Varese c’era una ditta che produceva le migliori congiunzioni in lamiera stampata e tra Lombardia e Veneto c’erano un sacco di laboratori in cui abili artigiani erano indaffarati a costruire telai a ritmi serrati. E non pensate ai soliti nomi. La maggior parte dei telaisti costruiva infatti soprattutto per altri, per i più grossi, in conto terzi. Lavoravano nell’ombra, erano il serbatoio cui attingevano le case che già godevano di maggior fortuna, che erano riuscite a imporre il proprio marchio grazie alle sponsorizzazioni o a qualche azzeccata idea imprenditoriale che non si chiamava ancora marketing. Era la scuola telaistica italiana. O, se preferite, erano i taiwanesi di una volta. Comunque, a imparare da noi arrivavano fino dagli Stati Uniti e dal Giappone. C’era grande passione, creatività, quella vera, e la qualità era molto elevata. Molti erano in gamba, qualcuno magari si arrangiava, qualcuno era addirittura brillante, ma non sempre ebbe il maggior successo commerciale.

Dario Pegoretti fa il telaista da quasi trentacinque anni. E’ stato allievo di Luigino Milani, uno dei migliori. Attivo a Verona sino agli inizi del ’90, gran talento nell’organizzare il lavoro, nell’inventarsi sistemi ed utensili per renderlo più snello e veloce, tanto che con quindici dipendenti riusciva a sfornare duecento telai al mese. Poco conosciuto al grande pubblico, anche lui lavorava molto come terzista, e per i marchi migliori. Quando la Milani Cicli chiude Dario Pegoretti si mette in proprio. Prima a Illasi, poi a Levico Terme e da qualche anno a Caldonazzo. Gli inizi non sono facili, ma Dario ha capacità, esperienza, e passione da vendere. E’ uno dei primi a sperimentare con la saldatura a TIG, quando ancora nessuno sa nemmeno da che parte cominciare. Collabora con le aziende più importanti e getta le basi di quella fama che lo porterà in breve a costruire i telai destinati ai corridori professionisti. La sua mano diventa richiesta. A quei tempi sono in pochi a saperlo ma molti dei migliori corridori degli anni ’90 corrono e vincono con i suoi telai. Nel ’97 inizia a firmare i telai con il suo nome e oggi è uno dei pochissimi telaisti rimasti in Italia. Costruisce telai da strada e da pista eccezionali. Il paradosso è che li vende quasi esclusivamente all’estero. Già, perché noi italiani siamo un po’ strani. Anzi, parecchio. Pensate che una volta un cliente gli ha ordinato un telaio e gli ha chiesto se poteva firmarlo con il nome di un altro costruttore…

Sulla copertina di un catalogo di qualche anno fa, Dario citava Mies van der Rohe: “La forma non è il fine ma il risultato del nostro lavoro”. Si è dato poche, semplici regole: ottenere il miglior prodotto possibile in termini di prestazioni e di affidabilità. Lo sguardo è sempre rivolto alle competizioni. E la forma ha sempre una radice tecnica. Come se fosse l’unica possibile. Come nel caso della scelta dei tubi rotondi, il miglior compromesso tra rigidità laterale e resistenza alla torsione. Il designer Enzo Mari ha scritto: “Una forma per me è buona quando è…quando ai più sembra troppo povera…Dunque quando non sembra, e per non «sembrare» deve corrispondere alla sostanza delle cose.” Chissà, forse Mari e Pegoretti andrebbero d’accordo. Oggi a Caldonazzo lavorano in tre. Dario, Pietro e Zoran. Un telaio Pegoretti è un prodotto autenticamente artigianale. Forse uno dei pochi rimasti. Tutto il processo è eseguito manualmente con la massima cura: dal taglio dei tubi alla verniciatura. Dario poi va anche oltre: studia le grafiche, si disegna da solo i cataloghi…

Assistere alla costruzione di un telaio nell’officina di Dario è un’esperienza affascinante. Una di quelle che mentre la vivi ti senti felice anche perché pensavi che ormai non ci fosse più in giro niente del genere. E’ un modello saldamente acquisito, ripetuto e tramandato nel tempo che ti si dispiega davanti attraverso gesti precisi che l’esperienza ha reso semplici e naturali. Dario è uomo concreto e come tale è incline a smitizzare, a riportare le cose alla loro giusta dimensione. Non si stanca di ripeterti che la bici è un oggetto semplice, “e’ una bici, mica un aeroplano”, e che costruire un telaio “è un lavoro che si fa a occhio”. Semplici sono inevitabilmente anche gli strumenti che usa per costruirla, che lui chiama familiarmente “tòchi de fèro”, ma che in realtà sono utensili bellissimi, quasi tutti autocostruiti, che ti colpiscono per la loro essenzialità e intelligenza. Non so quanti telai ci siano in giro in cui la scatola del movimento è stata saldata sulle note dei Pink Floyd, i forcellini posteriori su quelle di John Coltrane e il nodo sella con il Bolero di Ravel come sottofondo. A Caldonazzo succede spesso. Anzi, se vi venisse da chiedervi come mai la musica si sente così bene in officina è perché Dario ci tiene particolarmente e per non sbagliare si costruisce da solo casse ed amplificatore…

OTTOTUBI saldati con passione

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OTTOTUBI, saldati con passione: il telaio artigianale italiano sarà in esposizione dal 9 al 13 aprile 2013,  alla Casa dell’accoglienza del Comune di Milano in Viale Ortles 69.  L ’alta qualità dell’artigianato telaistico italiano entra in contatto con un luogo dove la bicicletta è la risposta concreta al bisogno di mobilità.

La storia della bicicletta e del ciclismo passa attraverso le sapienti mani di tanti artigiani che con maestria, ingegno e passione hanno saputo trasformare 8 semplici tubi di acciaio in anima, cuore, scheletro di una bicicletta: il telaio. La scuola telaistica italiana ha creato e continua a creare pezzi unici, vere e proprie opere d’arte, destinate sia a professionisti affermati sia ad appassionati.

Miraggio Associazione culturale e Stazione delle Biciclette hanno contattato maestri telaisti di fama internazionale e giovani artigiani creativi e hanno chiesto a ciascuno di loro di interpretare un telaio tra quelli del catalogo de La Stazione delle Biciclette, personalizzandoli e stravolgendoli a loro piacimento. Da questa collaborazione sono nati 7 telai unici, connubio di maestria artigiana e moderno design della bicicletta, esposti in questa mostra innovativa e provocatoria.

Culmine dell’iniziativa sarà il 12 maggio, in cui alcuni dei telai esposti verranno messi all’asta. I fondi raccolti saranno destinati all’allestimento di una ciclofficina popolare interna alla Casa dell’Accoglienza e alla formazione dei suoi primi operatori, scelti tra gli ospiti del dormitorio. Scopo della ciclofficina è la manutenzione delle biciclette che quotidianamente gli ospiti della
Casa dell’Accoglienza utilizzano come principale mezzo di trasporto. La mostra ha ricevuto il Patrocinio del Comune di Milano, Assessorato alle Politiche Sociali.

Saranno in mostra i lavori di Cicli Barco, Doriano De Rosa, Mattia “Legor” Paganotti, Daniel Merenyi, Dario Pegoretti, Giovanni Pellizzoli e Tiziano Zullo.

Inaugurazione, 9 APRILE 2013 alle ORE 18.00

Maggiori info su http://www.lastazionedellebiciclette.com/ottotubi/

 

 

Pegoretti Falz

Un recente progetto di Dario Pegoretti mi ha fatto tornare in mente un vecchio post. Dario ha progettato una forcella in carbonio da accoppiare ai suoi telai, un po’ perché non ne trovava sul mercato una che soddisfacesse appieno le sue esigenze – soprattutto in termini di rigidità laterale – e un po’ perché probabilmente non gli dispiace affatto l’idea di realizzare un telaio in cui tutte le parti, inclusa appunto la forcella, siano progettate da lui.

La nuova forcella, che ha gli steli curvi come quelle tradizionali e non diritti come molte delle forcelle in carbonio attualmente in circolazione, si chiama FALZ, che nel dialetto che si parla abitualmente nell’officina di Dario a Caldonazzo significa appunto falce, con evidente rimando alla forma incurvata degli steli. E’ pero’ interessante anche il risvolto simbolico del nome. Se rispolveriamo il catalogo della mostra che Enzo Mari dedica nel 1989 alle falci – in quanto oggetti bellissimi, dalla forma perfetta, essenziale, necessaria, che le rende addirittura un modello di quello che il design dovrebbe essere –  ritroviamo delle singolari analogie :

Ritorniamo alle nostre falci e al perché sono bellissime. La prima ragione della loro bellezza sta nel tipo di bisogno. E’ un bisogno primario, vita o morte. La sopravvivenza del contadino è sempre stata appesa a un filo, anche a quello della falce. La progettazione di questo manufatto doveva necessariamente essere perfetta. (…) la falce deve essere la meno costosa possibile (i contadini sono sempre stati poveri); deve essere efficientissima (molto robusta e molto leggera: il gesto faticoso del mietere si protrae dall’alba al tramonto); l’efficienza deve poter essere mantenuta dal contadino stesso (che frequentemente la riaffila con pietra abrasiva e periodicamente con attenta martellatura). (…) La produzione, per quanto industriale, cioè parcellizzata, mantiene forti componenti di sapienza artigiana. Si parte sempre da una barra che opportunamente scaldata viene progressivamente assottigliata, curvata e formata a colpi di martello. Il lavoro è completamente manuale e la formazione avviene ad occhio, senza l’impiego di stampi e punti di riferimento. La tempra viene completata nelle fasi finali, a freddo, con una fitta serie di colpi di martello che, chi non sa, valuta come motivo ornamentale.

A quando una mostra di forcelle?

Foto della forcella FALZ Dario Pegoretti.
I testi in corsivo sono di Enzo Mari e sono estratti dal catalogo originariamente pubblicato in occasione della mostra “Perché una mostra di falci?” per Bruno Danese in Milano, nel mese di Settembre 1989.  Lo stesso testo è stato di recente riportato integralmente su basilearteco.it.