Perché è stato il campione piu’ grande

Fausto Coppi, atleta del secolo. Dalla scomparsa di Fausto i giorni hanno rincorso i giorni. Quel ciclismo, con Ginettaccio Bartali e il terzo uomo Magni e Bobet, Van Steenbergen, Koblet, Kubler, Van Looy, Anquetil, è inimitabile. Era appena uscito dallo sbaraglio di una guerra sciagurata. Coppi, vinto il 9 giugno del ‘ 40 il suo primo Giro, aveva ascoltato l’ indomani, ventenne “militar soldato”, la dichiarazione di guerra. Un pomeriggio del novembre 1942, in una Milano tesa da un allarme aereo, impreparato e con un costume e un attrezzo inadeguati, il record dell’ ora, riuscito e maledetto. In Africa, “prisoner of war”. Infine la riapparizione, quando nessuno sapeva più se fosse morto o vivo. Nel ‘ 46, a condurre fuori il ciclismo dal Medioevo, è stata la stravolta potenza di Fausto. Giri e Tour dominati: scontri con Bartali and company al calor bianco. Coppi ha sepolto la tetra fatica, il ruvido automatismo. Una rivoluzione di medie, di ritmo, di metodologia di allenamento ancora da scoprire e con una medicina sportiva all’ abc. Aveva i muscoli del fenomeno, il cuore e i polmoni dell’ atleta fuori dal comune. Le ossa, invece, si spezzavano a ogni urto. Sul filo dei 40 anni, si era innamorato. Giulia, l’ amata, era la moglie di un medico. L’ autorità ritirò il passaportoa Coppi, facendo ridere mezzo mondo. Il figlio Faustino nacque in una clinica del Sudamerica. Nel ‘ 57 e nel ‘ 58 della leggendaria potenza era rimasta una traccia. Fausto mascherava lo sforzo con lo stile inarrivabile. Il gioco si era fatto pericoloso: era un fachiro il mattino e un gentleman da high-society la sera. La partita di caccia in Alto Volta prevedeva una kermesse per onorare gli anfitrioni. Si rientra l’ antivigilia di Natale. Malaria perniciosa, non individuata a tempo dai medici italiani. Con una pastiglia di chinino lo avrebbero salvato. Ricordo il pomeriggio d’ inverno, il corteo che riportava Coppi a Castellania. E la moltitudine commossa. Era un pomeriggio luminoso. Sulla campagna regnava un grande silenzio. Gli occhi si alzavano con malinconia verso il povero e piccolo cimitero, a cavallo della collina di San Biagio. Erravano lontano sulle valli della Bormida e del Po e le ondulazioni del Novese, su cui il sole aveva steso un velo di bruma.

Parole di Mario Fossati, da “La leggenda di un uomo solo”, pubblicato su La Repubblica, 8/12/1999
Stampa di Peter Locke, via cadenced.